Quando nei porti del Mediterraneo si parlava una lingua sola

Vi invitiamo a fare un esperimento, lasciatevi andare e pronunciate a voce alta questa frase:

“Padri di noi, ki star in syelo, noi voliri ki nomi di ti star saluti. Noi volir ki il paisi di ti star kon noi, i ki ti lasar ki tuto il populo fazer volo di ti na tera, syemi syemi ki nel syelo. Dar noi sempri pani di noi di cada jorno….”

Avete capito cosa state del dicendo? Quel “syelo” é il nostro “cielo”?
Ebbene sì, state recitando il Padre Nostro come lo pronunciava un marinaio o forse un mercante, entrambi per ingraziarsi una benevolenza divina o farsi proteggere prima di un lungo viaggio, nel Medioevo in uno dei tanti porti del Mediterraneo dove era necessario conoscere questa incredibile lingua franca, l’unica possibile per far sí che un veneziano, un genovese, un turco, un arabo, un greco, uno spagnolo, potessero comunicare tra di loro.

Stiamo parlando della Lingua Sabir, anche detta lingua franca-mediterranea, un’idioma parlato in tutti i porti del Mediterraneo, un misto di italiano, francese, spagnolo ed arabo, indispensabile per chiunque volesse lavorare sul mare o con il mare.

Era chiamata anche “Petit Mauresque” e il nome “Sabir” è forse una storpiatura del termine “Saber” cioè sapere perché alla fine questo “sapere” era un concreto fortunato strumento di comunicazione, tanto da diventare una lingua parlata per almeno tre secoli e che nel 1830 avrà persino il lustro di essere pubblicata in un dizionario della lingua del mare, Dictionnaire de la langue franque ou Petit mauresque, manuale scritto in lingua francese in occasione della spedizione francese in Algeria per la conquista di Algeri.

Il grande commediografo Carlo Goldoni la userà per far parlare il suo Arlecchino e anche a noi piace pensare al Sabir come un incredibile esperimento, all’epoca nato dalla necessità di comunicare tra diverse culture, possa diventare il simbolo di un’auspicata nuova armonia mediterranea.